Politica

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"Per la Pace risorse concrete, ecco perché serve un ministero", l'idea dell'Azione Cattolica

Una proposta forte e provocatoria, non solo simbolica". Così il presidente dell'Azione Cattolica Italiana, Giuseppe Notarstefano definisce l'idea di istituire un "ministero della Pace", in una fase in cui ai fronti di guerra già presenti se ne aggiungono di nuovi. Una proposta lanciata qualche giorno fa in Vaticano in occasione del Giubileo delle associazioni, dei movimenti e delle nuove comunità e pronta per essere presentata ufficialmente al governo e alle istituzioni il prossimo 24 giugno. 
"Con il “ministero della Pace” vogliamo stimolare un cambio di passo nella cultura politica e istituzionale del nostro Paese" racconta il presidente dell'AC a Rainews.it. "Non si tratta di creare semplicemente un nuovo dicastero, ma di promuovere una visione che rimetta la pace al centro delle politiche pubbliche, come responsabilità trasversale e come orizzonte strategico. La pace non può essere ridotta a un tema per addetti ai lavori: è una questione che tocca la sicurezza, l’educazione, l’economia, la cooperazione internazionale. È tempo che le istituzioni si assumano con coraggio l’impegno di costruire la pace in modo concreto e sistemico".

La politica italiana reagisce al conflitto Israele-Iran

La posizione ufficiale del governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, si caratterizza per un equilibrio tra il sostegno alla sicurezza di Israele e la ricerca di una soluzione diplomatica che eviti l’escalation militare. Il governo considera prioritario impedire che l’Iran si doti dell’arma nucleare, ma al tempo stesso insiste sulla necessità di favorire una de-escalation del conflitto e di mantenere aperta la via diplomatica.

L’opposizione, in particolare la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, critica la mancanza di chiarezza del governo, chiedendo una posizione più netta contro l’escalation militare e invitando a fermare sia le azioni di Netanyahu sia le reazioni iraniane. Le opposizioni hanno inoltre richiesto che il governo riferisca immediatamente in Parlamento sugli sviluppi della crisi.

Meloni sente Trump e Netanyahu, si confronta con i leader europei ed arabi. Serve de-escalation

Priorità de-escalation e ritorno alla diplomazia. Giorgia Meloni segue l'evoluzione dell'attacco israeliano all'Iran dalle prime ore della mattina di ieri e, dopo il vertice coi ministri e l'intelligence, è impegnata in un lungo pomeriggio di telefonate, che inizia con Donald Trump, Ursula von der Leyen e Friedrich Merz, e si conclude con il colloquio con Benjamin Netanyahu. A tutti gli interlocutori, la presidente del Consiglio, esprime la disponibilità dell'Italia a intraprendere ogni azione che possa favorire "una soluzione diplomatica", come già fatto con le due tornate negoziali tra Iran e Stati Uniti, che si sono tenute a Roma.

Nel corso del colloquio con il premier israeliano, Meloni "condivide la necessità di assicurare che l'Iran non possa in alcun caso dotarsi dell'arma nucleare, auspicando al contempo che gli sforzi condotti dagli Stati Uniti per giungere ad un accordo possano ancora avere successo".

A Netanyahu, viene sottolineato, la premier ribadisce ancora una volta l'urgenza di garantire l'accesso dell'assistenza umanitaria alla popolazione civile della Striscia di Gaza. Nel corso della giornata, la premier ha contatti telefonici anche con il principe ereditario dell'Arabia Saudita, il re di Giordania; il sultano dell'Oman, confrontandosi su come lavorare insieme per favorire una soluzione diplomatica.

Israele-Iran, Tajani: “No a escalation, torniamo a sederci attorno a un tavolo”

Nel giorno dell’offensiva di Israele contro l’Iran e della reazione di Teheran arrivata nel giro di poche ore, Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano, spiega al Tg1: “Stamattina ho chiesto al ministro degli Esteri iraniano di avere reazioni proporzionate per evitare un’escalation”.

Sempre Tajani osserva: “Questo è il nostro obiettivo, bisogna far rimettere americani e iraniani attorno a un tavolo. Sosteniamo tutte le iniziative che possano far riaprire il dialogo diplomatico”.

Urso: in decreto siderurgia c'è ok a commissario che investa nell'acciaio a Taranto

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy ha annunciato la nomina di un commissario straordinario a favore di coloro che faranno investimenti a Taranto, in area ex Ilva o all'esterno, purché collegati con la produzione siderurgica.

Nel decreto legge approvato nel pomeriggio in Consiglio dei ministri "sono previste procedure di fast track, con la nomina di un commissario straordinario a favore di coloro che faranno investimenti a Taranto, in area ex Ilva o all'esterno, purché collegati con la produzione siderurgica, applicando l'articolo 13 del decreto legge Asset che ci consente di nominare un commissario straordinario per la concessione di tutte le autorizzazioni". Lo ha annunciato il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, nella conferenza stampa al termine del Cdm.

Lo stesso è già accaduto "in questi mesi, nel caso di significativi investimenti esteri come quelli di Silicon Box in Piemonte, Amazon in Lombardia e un'impresa farmaceutica danese nel Lazio. Questa norma ci consegnerà altrettanto per l'area ex Ilva e di quelle all'esterno, purché collegati con la produzione siderurgica", aggiunge.

Due anni dalla morte di Berlusconi. La figlia Marina: “Per lui la guerra era la follia delle follie”

Sono trascorsi due anni dalla scomparsa di Silvio Berlusconi. E per l'occasione sua figlia Marina Berlusconi ha riletto con “Il Giornale” le ultime parole scritte dal padre in ospedale. È stata la primogenita a volere fortemente la pubblicazione di quel manoscritto e ne custodisce gelosamente l'originale. Era con lui mentre scriveva quelle righe. “Il primo desiderio di mio padre è sempre stato quello di sentirsi amato, di sentirsi apprezzato. Non capiva quelli che ambiscono in tutti i modi a ‘farsi temere’: era quanto di più lontano dal suo modo di essere”, racconta in una lunga intervista.

Mattarella: anche in Italia "bambini invisibili", un dovere proteggerli e garantire istruzione

Anche in Italia, come in molte parti del mondo, ci sono "bambini invisibili", esclusi e sfruttati, i cui diritti non vengono garantiti nonostante la Costituzione affermi "con chiarezza il dovere della Repubblica di proteggere l'infanzia e garantire il diritto all'istruzione. Lo afferma in una dichiarazione il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

"Negli ultimi decenni, l'azione congiunta di governi, organizzazioni internazionali e società civile, ha sottratto milioni di bambine e bambini a condizioni di lavoro degradanti, reinserendoli in percorsi di istruzione, protezione e crescita. Frutto di un impegno corale, questi risultati rischiano oggi di essere compromessi dalle crisi globali, dai conflitti armati, dai cambiamenti climatici, dall'aumento delle disuguaglianze", osserva il Capo dello Stato aggiungendo che "si calcola che oltre 160 milioni di minori nel mondo siano ancora coinvolti in forme di lavoro che mettono a rischio la loro salute, ostacolandone lo sviluppo e violandone la libertà".

Il presidente della Repubblica ha dunque sottolineato: "Sono bambini spesso invisibili, costretti a svolgere lavori pericolosi per sopravvivere: perché la fame è più urgente dell'infanzia, perché le loro scuole sono state distrutte dalle bombe, perché non esistono alternative né prospettive. Situazioni sommerse di sfruttamento e di esclusione sono presenti anche in Italia, soprattutto in contesti segnati da fragilità sociale ed economica", rilancia il presidente ricordando che "la piena affermazione dei diritti dei bambini è un dovere sociale che misura la civiltà e la coesione di un popolo".

"Cifra insostenibile". I principali fattori che determinano la fuga rimangono i grandi conflitti. Con 14,3 milioni di rifugiati e sfollati interni, il Sudan rappresenta attualmente l'emergenza maggiore

Circa 122,1 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette a lasciare le proprie case alla fine di aprile. Lo hanno dichiarato le Nazioni Unite, definendo la cifra "insostenibile". Il numero di sfollati a causa di guerra, violenza e persecuzioni ha raggiunto il record di 123,2 milioni alla fine del 2024, ma da allora è leggermente diminuito. Un gran numero di siriani è riuscito a tornare alle proprie case dopo il rovesciamento del presidente Bashar al-Assad, ha dichiarato l'UNHCR, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel suo rapporto annuale.

Secondo il rapporto annuale Global Trends dell'Unhcr, alla fine di aprile 2025 c'erano 122,1 milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case, rispetto ai 120 milioni dello stesso periodo dell'anno scorso. I principali fattori che determinano la fuga rimangono i grandi conflitti come quello in Sudan, Myanmar e Ucraina e la continua incapacità della politica di fermare i combattimenti. Quali saranno le tendenze nei mesi rimanenti del 2025, dipenderà molto dalla possibilità di raggiungere la pace, dal miglioramento delle condizioni di ritorno a casa, e dall'impatto dei tagli attuali ai finanziamenti sulle situazioni di rifugiati e sfollati in tutto il mondo.

Terzo mandato, duello tra Forza Italia e Lega

Sale di toni la sfida interna alla maggioranza sul terzo mandato. Antonio Tajani evoca Hitler e Mussolini: "anche loro avevano vinto le elezioni". E la reazione della Lega oscilla fra l'ira e l'offesa. Soprattutto fra i governatori del partito di Matteo Salvini (il quale, invece, cerca di smorzare le tensioni), che si sono fatti sentire nel Consiglio federale convocato dal leader, premendo affinché al più presto sia convocato un vertice di maggioranza per discutere una proposta. In mezzo c'è Giorgia Meloni che, al di là dell'apertura al confronto annunciata da FdI nei giorni scorsi, secondo più fonti di governo, non sarebbe affatto intenzionata ad accelerare su questo dossier.

 All'indomani del vertice dei leader di centrodestra a Palazzo Chigi, in cui non è stato volutamente messo sul tavolo il tema decisamente divisivo, FI ha ribadito con forza di non condividere l'ipotesi di modifica che consentirebbe ai presidenti di regione più di due mandati. "Non è una questione di volontà popolare... Anche Mussolini ha vinto le elezioni, anche Hitler aveva vinto le elezioni", la linea di Tajani, secondo cui un governatore "troppo tempo seduto su una poltrona rischia di far sì che ci siano rischi di autoritarismo, di incrostazioni di potere". "Parole grevi, offensive, fuori luogo", come sono state definite in vari degli interventi dei leghisti durante le quasi due ore del Federale, il primo per Roberto Vannacci da vicesegretario, utile anche a confermare la kermesse di Pontida il 21 settembre. I più sconcertati, raccontano, sono stati i governatori (dell'organismo fanno parte Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga).

L'annuncio di Trump: "Accordo con la Cina, a noi i minerali, a loro i visti per gli studenti"

L'accordo è fatto". Donald Trump usa toni trionfalistici per descrivere l'intesa commerciale con la Cina, raggiunta al termine di una maratona negoziale di 48 ore e dopo settimane di tensioni che sembravano destinate a far naufragare la tregua raggiunta a Ginevra il mese scorso. Invece i negoziatori sono riusciti a lasciare la Lancaster House di Londra con un accordo di massima, che rappresenta un ulteriore passo avanti - anche se per molti osservatori "molto piccolo" - verso una pace commerciale. I dettagli dell'intesa sono scarsi. La Cina si è impegnata ad allentare i controlli alle esportazioni di terre rare e magneti. In cambio gli Stati Uniti si sono detti disponibili a rimuovere alcune restrizioni all'export, anche sui chip, e ad ammettere gli studenti cinesi nei college e nelle università americane.

Poche le notizie ufficiali sui contenuti dell'accordo
L'accordo prevede che i dazi restino ai livelli stabiliti a Ginevra in maggio: ovvero al 30% per il made in China e al 10% per l'import cinese di prodotti americani. Nel lodare l'intesa Trump ha parlato di tariffe sulla Cina al 55%, lasciando immaginare un aumento rispetto al livello deciso solo il mese scorso. La Casa Bianca però è subito intervenuta per precisare che la cifra indicata da Trump include i dazi al 30% imposti negli ultimi mesi (10% quelli universali e 20% quelli sul Fentanyl) e quelli del 25% che erano in vigore in precedenza. Nonostante il chiarimento ufficiale, che ha spazzato via la confusione creata da presidente, la scarsità di dettagli lascia scettici i mercati preoccupati dal fatto che all'intesa manca la firma dei due presidenti. 

Polonia, Tusk si salva in Parlamento nel voto di fiducia chiesto dopo la vittoria di Nawrockii

In Polonia, il governo filoeuropeo di Donald Tusk ha superato il voto di fiducia in Parlamento, dopo la grave battuta d'arresto nelle elezioni presidenziali di inizio mese, vinte dallo storico e nazionalista Karol Nawrocki il primo giugno scorso. Un totale di 243 parlamentari sui 460 seggi del Sejm (la Camera bassa) hanno detto sì alla prosecuzione dell’esperienza di governo di Tusk, concedendogli la maggioranza semplice necessaria.

Il voto è stato indetto dal premier moderato, ma fortemente filoeuropeo, dopo che la coalizione che lo sostiene aveva puntato tutto sulla vittoria dello sfidante, il sindaco di Varsavia Rafal Trzaskowski. “Chiedo un voto di fiducia perché sono convinto, fiducioso e convinto, che abbiamo un mandato per governare” ha dichiarato Tusk all'inizio della sessione parlamentare. Ha affermato che il governo deve svolgere “un lavoro molto duro e serio, in condizioni che non miglioreranno”, consapevole com’è del potere di veto che il capo dello Stato potrà usare contro i provvedimenti più ostici, come le unioni civili per persone dello stesso sesso o per gli aiuti a Kiev.

I commentatori affermano che Nawrocki, sostenitore del presidente Usa Trump, tenterà di far cadere il governo e di rafforzare il principale partito di opposizione, Diritto e Giustizia (PiS), che lo ha sostenuto. Nawrocki ha vinto le elezioni con il 51% dei voti, una vittoria di stretto margine rispetto a Trzaskowski (49%). L'ex presidente del Consiglio europeo è salito al potere nel 2023 come capo di una coalizione tra la sua Piattaforma Civica (Ko) centrista, Polonia 2050 (centro), il conservatore Partito contadino polacco (Psl) e la Nuova sinistra.

Argentina, confermata dalla Corte Suprema la condanna a 6 anni per l'ex presidente Cristina Kirchner

La Corte Suprema argentina ha respinto il ricorso della ex presidente Cristina Fernández de Kirchner contro una condanna a sei anni per corruzione, confermata in Cassazione. Il massimo tribunale, si legge nella sentenza, ha ratificato la pena di sei anni e il divieto a ricoprire cariche pubbliche. Il presidente Javier Milei ha subito commentato sui social la conferma della condanna nei confronti della ex presidente e leader dell'opposizione. “Giustizia. Fine”. Questo il breve messaggio pubblicato dall’inquilino della Casa Rosada pochi minuti dopo la pubblicazione della sentenza, mentre si trova in visita ufficiale in Israele.

L'ex presidente, vedova del predecessore Nestor Kirchner, ha accusato la giustizia del suo Paese di agire come un partito e di avere messo un “lucchetto” all'opposizione. Lo ha dichiarato in un comizio improvvisato di fronte alla sede del Partito peronista (Partido Justicialista - Pj) di Buenos Aires, pochi minuti dopo la pubblicazione della sentenza. “Dopo il lucchetto ai salari, adesso il partito della giustizia ha messo anche il lucchetto al voto popolare e all'opposizione” ha detto Kirchner, che ha definito i tre giudici del massimo tribunale come un “triumvirato di impresentabili che esegue ordini superiori”.

Kirchner ha poi fatto un paragone tra la sentenza di oggi e il fallito attentato del primo settembre del 2022 nei suoi confronti, affermando che “in quel momento la pallottola non è uscita ma oggi la sentenza sì è uscita”.

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